Tina Modotti

Solo Weston poteva credere che i suoi nudi o peperoni fossero un’espressione sovversiva della fotografia; bastava guardare nella stessa camera da letto di Weston, raccattare da sotto il materasso la scatola di fotografie della sua compagna, Tina Modotti, e avrebbero scoperto la folgorazione della trasgressione e lo sguardo dell’osare.[1]

La frase riportata nell’introduzione, per quanto originale nel contenuto, in quanto ribalta una concezione storicamente consolidata che assegna ad Edward Weston il ruolo di sommo maestro della fotografia, manifesta anche un’ingiustizia protrattasi per più di trent’anni oltre la morte di Tina Modotti, avvenuta il 5 gennaio del 1942: la sottovalutazione del suo valore di fotografa a vantaggio di altri aspetti della sua complessa personalità.
Basti pensare che nella prestigiosa Storia della Fotografia di Beaumont Newhall del 1964 compariva la Donna incinta con bambino in braccio senza nominare l’autrice. Non va meglio in un’altra prestigiosa storia della fotografia, quella di Jean Claude Lemagny/Andrè Rouille dove l’unica frase in cui è nominata la Modotti è la seguente:

[…] Weston perfezionò le sue fotografie pure nel contesto di un’altra avanguardia: in Messico, dopo la rivoluzione, in compagnia di Diego Rivera, Josè Orozco e Tina Modotti.


La figura di militante rivoluzionaria che ha incarnato negli ultimi anni della propria esistenza ha sicuramente contribuito all’oblio di questo aspetto della sua personalità anche e soprattutto rispetto al nucleo di potere della storiografia fotografica, nei confronti del quale la Modotti era sicuramente centrifuga.
Ad esempio, si fa risalire la nascita della Fotografia Sociale al lavoro di fotografi come Riis e Hine che, a cavallo tra i due secoli hanno usato il mezzo visivo per documentare le condizioni di lavoro degli immigrati e delle classi meno abbienti e al lavoro commissionato dalla Farm Security Administration a vari fotografi americani che, su incarico governativo, indagarono sullo stato dei paesaggi rurali e le condizioni di lavoro nelle campagne.
Nessuno si è accorto che, nello stesso periodo di Hine e anni prima della F.S.A. la Modotti aveva gia realizzato un’indagine sociale, attraverso il mezzo fotografico, che, al contrario dell’approccio da New Deal degli americani, si serviva del supporto di un vigoroso impianto ideologico che rendeva al risultato un rilievo artistico più nobile.
D’altronde, il concetto di arte come impegno civile verrà, in seguito, ripreso anche dal Picasso che si accingeva a dipingere la sua Guernica. Forse fu proprio questo aspetto politico dell’opera di Tina Modotti a determinarne l’oblio storico rispetto a un sistema di giudizio che era quello degli Stati Uniti per i quali la fotografa italiana era null’altro che un elemento sovversivo.
Nelle sue fotografie, in realtà, si potevano individuare temi coerenti con le linee di sviluppo dell’arte fotografica in quegli anni.
Rispetto al suo sodalizio con Weston, solo recentemente si è appurato che l’italiana fu vittima di una sorta di imperialismo culturale[2] degli americani ai quali faceva comodo enfatizzare il valore dell’avanguardia californiana piuttosto che il fermento creativo del Messico post rivoluzionario di Rivera, Orozco, Khalo e Modotti. Tuttavia, già in quel periodo, la fotografa friulana poteva vantare una totale autonomia espressiva che la riscattava dal subalterno ruolo di amante del maestro californiano.
La delicata fattezza dei ritratti, il rigore compositivo delle calli e dei gerani, l’assoluta concezione ritmica delle canne di bambù e quel senso architettonico che emerge dalle foto del convento di Tepotzotlan sono lucidamente anticipatori di tendenze che prenderanno corpo nel percorso della fotografia lungo tutto il ‘900.
Una riflessione a parte merita il discorso sulla fotografia di carattere sociale, della Modotti che ha saputo catturare la sofferenza drammatica di quelle classi popolari con un occhio mai neutro ma lucidamente partecipato. Fotografie urlanti.
Tina Modotti non ha ancora ottenuto il posto che le spetta nella storia della Fotografia, la strada da percorrere è ancora lunga e gli ostacoli sono, per la gran parte, di natura politica.

NOTE
[1] cft Pino Bertelli, Della fotografia trasgressiva, NdA Press, 2006, pag. 27
[2] cft Tina Modotti. Perché non muore il fuoco, Edizioni Arti Grafiche Friulane, 1992, pag. 6

Bibliografia:
Vari, Tina Modotti. Perchè non muore il fuoco, Edizioni Arti Grafiche Friulane, 1992

Galleria fotografica

Biografia

Internet


Commenti

Anonimo ha detto…
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