Ultimo parallelo, di Filippo Tuena

Leggendo l’articolo di Francesca Matteoni sul libro Ultimo parallelo di Filippo Tuena, comparso su Nazione Indiana, non si può non essere d’accordo su un aspetto importante del romanzo, quello inerente al ruolo della fotografia nel contesto specifico.

Oggetto del romanzo è la sfortunata spedizione inglese al polo sud, a cavallo tra il 1911 e il 1912, al comando del capitano Robert Falcon Scott. Spedizione sfortunata, nella quale, sulla via del ritorno, delusi dopo la scoperta di essere stati preceduti, nell’impresa, dal norvegese Amundsen, morirono tutti i cinque membri della spedizione.
Tuena scrive la storia a partire da tre spunti: i diari redatti dai membri della spedizione, poi ritrovati, i numerosi riferimenti letterari così come emergevano dalla lettura di questi ultimi e, infine, le fotografie, quelle scattate nella prima parte dell’impresa dal fotografo aggregato, Herbert Ponting e, successivamente, da Henry Bowers.
Proprio la presenza delle fotografie dona al romanzo un potere evocatore forte e affascinante.
Per il lettore che è indotto a legare le parole a quelle immagini, spogliando, in questo modo, la forza immaginifica del testo dal suo potere per delegarne parte alle immagini. Così avviene che noi conosciamo oggettivamente le figure protagoniste di una storia che pure è di altri tempi, storicamente collocata altrove.

La fotografia non dice (per forza) ciò che non è più, ma soltanto e sicuramente ciò che è stato. Questa sottigliezza è determinante. Davanti a una foto la coscienza non prende necessariamente la via del ricordo (quante fotografie sono al di fuori del tempo individuale) ma per ogni foto esistente al mondo, essa prende la via della certezza.[1]

Leggendo Barthes si nota come la presenza delle fotografie concedano alla storia di Tuena la certezza che quanto narrato sia effettivamente avvenuto e questo delimita la funzione narrativa impedendole di oltrepassare i confini oltre i quali vi è il mondo dell’invenzione letteraria.
Le fotografie inducono il lettore a posizionarsi su un punto di vista che non gli appartiene (al contrario di quanto succede normalmente nel processo di lettura di un’opera di narrativa). Ancora la Matteoni pone in evidenza come le sensazioni che ci colgono nell’osservare volti, posture e ambienti attraverso le foto, decifriamo una serie di situazioni emotive condizionanti.

questo pugno di fotografie, nei volti sui quali, a noi che sappiamo come andarono le cose, sembra di scorgere uno spettro, un presentimento[2]

E ancora Barthes.

Poiché la Fotografia è contingenza pura e poiché non può essere altro che quello (è sempre un qualcosa che viene rappresentato), contrariamente al testo il quale, attraverso l’azione improvvisa di una sola parola, può far passare una frase dalla descrizione alla riflessione, essa consegna immediatamante quei particolari che costituiscono precisamente il materiale del sapere etnologico. Quando William Klein fotografa il Primo Maggio 1959 a Mosca, egli mi informa su come vestono i russi: io noto il grosso berretto a visiera di un ragazzo, la cravatta d’un altro, la sciarpa della vecchia, il taglio di capelli d’un adolescente, ecc. Io posso scendere ancor di più nel particolare, notare che parecchi degli uomini fotografati da Nadar avevano le unghie lunghe: questione etnografica: come si portavano le unghie nella tale o talaltra epoca? La Fotografia può dirmelo, molto meglio dei ritratti dipinti. Essa mi permette di accedere a un infrasapere.[3]

La fotografia stessa emerge come protagonista nella storia narrata da Filippo Tuena, contrastata nella sua necessità di documentare da convinzioni superstiziose tipiche dell’epoca.

Abbiamo scattato fotografie scrive Wilson e Atkinson per un istante distoglie lo sguardo dai diari e liberandola dal pulviscolo ghiacciato che la ricopre afferra la piccola macchina fotografica. Sembra non aver sofferto per il ghiaccio che la incrosta e le connessure hanno retto e probabilmente le immagini sono ancora impresse nella pellicola che ha sopportato le spaventose temperature invernali. Ma Atkinson ricorda quello che i marinai sussurravano durante i giorni del blizzard quando erano rimasti bloccati dentro le tende che trasudavano acqua e fuori la neve era impastata e collosa e impraticabile e i vestiti grondavano acqua e sudore e il viaggio degli esploratori sembrava essersi arrestato in una palude infernale.
E’ la macchina fotografica è quella nera scatola maledetta il Giona che attira la maledizione divina. Non mi farei fotografare da lei per tutto l’oro del mondo, non mi lascerei imprigionare dentro quell’apparecchio infernale
.[4]

NOTE
[1] cft. Roland Barthes, La camera chiara, Einaudi 1980, pag. 86
[2] cft. Francesca Matteoni, Il viaggio e le parole. Note su Ultimo parallelo di Filippo Tuena, Nazione Indiana
[3] cft. Roland Barthes, La camera chiara, Einaudi 1980, pag. 30
[4] cft. Filippo Tuena, Ultimo parallelo, Rizzoli 2007, pag. 227

Bibliografia
Filippo Tuena, Ultimo parallelo, Rizzoli 2007
Roland Barthes, La camera chiara, Einaudi 1980

Immagini
1-Tutti, al campo base di Cape Evans (foto Ponting)
2-Cristopher, il pony ribelle parte al galoppo affannosamente inseguito (Ponting)
3-Crean e Evans alle prese con lavori di manutenzione (Ponting)
4-Scott, Wilson, Oates, Bowers e Evans al Polo Sud (autoscatto)




Commenti

Higgiugiuk ha detto…
Ciao! molto bello questa tua lettura incrociata con Barthes. Scusa il ritardo con cui ho trovato il post e grazie per i rimandi all'articolo. Ora mi metto a curiosare in giro per il blog...

Francesca
Rodolfo Marotta ha detto…
Francesca,
nonostante una discreta passione per la fotografia avevo letto il libro senza accorgermi del ruolo che questa aveva nell'economia dell'opera. Poi, la lettura del tuo contributo su Nazione Indiana mi ha folgoratoe ho pensato che scemo sono stato a non accorgermi...
Succede di essere vittime di queste inspiegabili forme di cecità.
I miei blog vivono in clandestinità e non posso farci nulla.
Grazie della tua visita.
Anonimo ha detto…
Si, probabilmente lo e
Anonimo ha detto…
molto intiresno, grazie
Anonimo ha detto…
good start
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