Mario Giacomelli. Il segno e l'onirismo

Iniziai il cammino nella blogosfera, ormai due anni e mezzo or sono, parlando proprio di Mario Giacomelli, sicuramente uno dei più importanti fotografi italiani.
Cosa mi piace di
Giacomelli?
Il segno principale della sua fotografia è la radicalizzazione dei toni, la difficoltà delle tonalità intermedie in favore di un’accentuazione della gamma tonale verso gli estremi. Ciò comporta un allontanamento dalla funzione di rappresentazione del reale che la fotografia ha sovente avocato a sé, senza averne il merito.
Giacomelli, così, svela l’inganno, allontana la visione dal reale e la proietta in una dimensione onirica. Le sue origini legate alla pittura sono determinanti in questa costante ricerca del segno essenziale.

Passa rapidamente da modalità adiacenti a un concetto di realismo quasi straniano a una pratica nella quale il dominio dei segni, del fotografato, del mosso o dello sfuocato diventano l’alfabeto del suo comunicare.

Quasi un desiderio di osservare il mondo senza la durezza a cui un eccessivo realismo da reportage può indurre, ma con occhio capace di pensare su quel che vede, di interpretare, decifrare. La prima serie di foto paradigmatica di questo approccio e quella del Mattatoio nelle quali l’aspetto documentaristico lascia il posto a quel senso di partecipazione al destino degli animali, che sembra qui diventare destino che accomuna le vittime e i carnefici.

E’ nelle foto dei paesaggi dove la spinta verso i toni estremi decontestualizza il paesaggio, costringendolo a rendere la purezza del segno impressogli dall’uomo, ‘eredità della storia. Il paesaggio, il suo, quello marchigiano, sarà, lungo tutta la sua carriera, il filo conduttore della sua ricerca sul senso della storia, della quale il paesaggio finisce per diventare, in qualche modo, il depositario.

Le foto della serie di Scanno proseguono su questa strada. Qui. l’elemento umano sembra quasi sospeso, posticcio, collocato dall’artista in una composizione mirabile. Quella del ragazzo incorniciato dalla presenza di due anziane è foto che ha guadagnato il MoMa di New York e ha donato fama mondiale all’autore.

Un altro elemento peculiare della fotografia di Giacomelli è quello onirico che scaturisce dalla capacità di vedere gli aspetti inconsueti dei comportamenti umani e dell’essenza delle cose. Le serie Io non ho mani che mi accarezzino il volto e La buona terra esprimono bene questa interessante componente del linguaggio di Giacomelli. Una capacità di sorprendere, nella prima, e una certa sospensione temporale, nella seconda, ne amplificano la sensazione.

Questi due elementi, la riduzione semiotica e la dimensione onirica, sono le sorgenti del fascino che questo poeta dell’immagine esercita su di me.

Per me che uso la macchina fotografica è interessante uscire dal piano orizzontale della realtà. Avere la possibilità di un dialogo stimolante perché le immagini abbiano un respiro irripetibile. Riscrivere le cose cambiando il segno, la coscienza abituale dell’oggetto, dare alla fotografia una pulsazione emozionale tutta nuova. Il linguaggio diventa traccia, necessità, spirito dove la forma sprigiona non dall’esterno ma dall’interno in un processo creativo. Lo sfocato, il mosso, la grana, il bianco mangiato, il nero chiuso sono come esplosione del pensiero che dà durata all’immagine, perché si spiritualizzi in armonia con la materia, con la realtà, per documentare l’interiorità, il dramma della vita. Nelle mie foto vorrei che ci fosse una tensione tra luce e neri ripetuta fino a significare.
[Mario Giacomelli]

Mario Giacomelli è morto il 25 novembre del 2000

Bibliografia:
Arturo Carlo Quintavalle, Messa a fuoco, Feltrinelli 1983
Vari, I grandi fotografi, Forma-Corriere della Sera, 2007

Immagini:
1-
Scanno, 1958
2-
Mattatoio, 1961
3-
La buona terra, 1965
4-
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, 1967
5-
Paesaggio, 1980
6-
A Silvia, 1988
7-
Presa di coscienza sulla natura, 1990
8-
Questo ricordo vorrei raccontare, 2000
9-Ritratto di
Mario Giacomelli eseguito nel 2000 da Paolo Mengucci


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